RI/SCATTI Donna Ines ha perso la scarpina
Un progetto realizzato grazie al crowdfunding (kickstarter.com)
SFCC Visual Art Gallery, Santa Fe, USA 2014
Palazzo Nicolaci, Noto (Sicilia), un palazzo del Settecento, a cura di Vincenzo Medica con un contributo critico di Ornella Fazzina 2015
Ko-Art Gallery, Catania, a cura di Aurelia Nicolosi 2015
Musée Arts et Histoire, Bormes-les-Mimosas, Francia 2017
Real Jardín Botánico, Madrid, Spagna (accanto il Museo del Prado), 17 maggio al 30 agosto 2018
SFCC Visual Art Gallery, Santa Fe, USA 2014
Palazzo Nicolaci, Noto (Sicilia), un palazzo del Settecento, a cura di Vincenzo Medica con un contributo critico di Ornella Fazzina 2015
Ko-Art Gallery, Catania, a cura di Aurelia Nicolosi 2015
Musée Arts et Histoire, Bormes-les-Mimosas, Francia 2017
Real Jardín Botánico, Madrid, Spagna (accanto il Museo del Prado), 17 maggio al 30 agosto 2018
RI/SCATTI:
DONNA INES HA PERSO LA SCARPINA
Dona Ines aveva perso la sua scarpetta ed era in verità, abbastanza sconvolta,
qualcuno nel palazzo doveva averla, o almeno così lei pensò.
Era la dolce Miss Milly, o forse il piccolo Don Miguel??
Non importa quanto si scervellò, perché non lo seppe mai.
Sono un artista che vive a Santa Fè, New Mexico, U.S.A. che si è sentito obbligato a costruire una mostra su una sua complessa storia personale, che mi ha perseguitato per tutta la vita. Mio padre arrivò negli Stati Uniti dalla Spagna alla fine degli anni sessanta, e aprì con mia madre, una natia del Nuovo Messico, una compagnia di danza di flamenco. Man mano che la compagnia ebbe successo, loro cominciarono a viaggiare frequentemente. Io ho trascorso lunghi periodi con mia nonna Chippewa a Taos, Nuovo Messico, e ho frequentato per parecchi anni la scuola diurna della riserva. La principale fonte d’ispirazione di questa mostra deriva dalla storia di mia nonna, spedita in collegio all’età di otto anni, e il suo conseguente distacco dalla gente della sua terra e dalla sua famiglia. Dopo la mia esperienza alle scuole elementari, medie e al liceo Indiani, ho studiato e abitato in Spagna e in Francia (paese da cui proviene mia moglie). Dopo la morte di mio padre e di mia nonna, ho sentito il bisogno di sviluppare una mostra che esplorasse la complessità, le sfide e le ricompense che derivavano dall’essere cresciuto in una famiglia multietnica e multiculturale. Avendo vissuto nei luoghi più vari e disparati, questo progetto è per me, in un certo senso, il modo di riconciliare tutte queste identità, e per esplorare questo commovente ed affascinante passato che unisce molti di noi che siamo figli di quegli incontri primordiali tra coloni e nativi.
Un giorno durante la calda estate del 2013 ero a Madrid in visita a mio padre (che stava per intraprendere il suo ultimo viaggio verso la sua terra d’origine), e andai al Prado. La collezione permanente era costituita dai grandi capolavori di Velasquez, Ribera, Murillo, Goya ….. ma io mi diressi verso un angolo meno frequentato del museo in cui erano esposti lavori meno accattivanti per un osservatore del 21simo secolo, come i ritratti degli aristocratici e delle maestà reali del XVIII secolo. Il mio primo istinto era stato quello di saltarli e attraversare la sezione il più velocemente possibile per andare direttamente a vedere i Goya, ma poi venni colpito dal misterioso ritratto di una ragazza con alle spalle un paesaggio etereo. Era un dipinto eseguito da un artista di origine tedesca, Anton Raphael Mengs che ritrasse la maggior parte del’aristocrazia del tardo XVIII secolo.
Scoprii che la ragazza era Maria Luisa di Parma, futura regina di Spagna dal 1788 al 1808. Più tardi nella sua vita, venne ritratta da Goya in una luce molto meno favorevole, dopo essere divenuta la personificazione della decadenza della corte spagnola, al tempo delle invasioni napoleoniche.
Il bellissimo e, in qualche modo, strano ritratto, diede origine a questo mio progetto: un’esplorazione dell’idea di aristocrazia, bellezza, classe, schiavitù, dominio coloniale, e il loro impatto sulla società multietnica di oggi. Iniziai ad immaginare il profilo immaginario di un’aristocratica spagnola che arriva nel Nuovo Mondo e si trova al cospetto di una domestica nativa d’America, lì contro la sua volontà, ma che diverrà complice della vita segreta di Donna Ines. La mostra è imperniata sulle figure della serva e della nobildonna. Le opere in mostra tessono una storia della esperienza della domestica all’interno di una famiglia coloniale: l’esperienza di affrontare una nuova situazione riaffermando la propria identità fino alla lotta per emancipare se stessa in modo immaginario o reale. Questo percorso espositivo costituisce la memoria di quei pensieri, della sua battaglia. Altra protagonista é Donna Ines, la nobildonna che spende le sue giornate sfumacchiando la pipa, come facevano le donne aristocratiche di quel tempo, tirando su la propria famiglia solo per trovare se stessa segretamente vulnerabile e sperduta in questo Nuovo Mondo e in un ambiente a lei nuovo. La mia intenzione è quella di decifrare quell’aristocratica tanto quanto di analizzare la personalità della serva.
Le poco significative identità delle persone di servizio/schiave, riportano ad opere contemporanee di artisti come Kara Walker, e agli echi della inumana struttura gerarchica dell’America colonizzata dagli spagnoli, così come rappresentato dalla pittura della “casta” messicana, in cui ogni possibile commistione razziale era chiaramente enunciata in immagini quali quelle che mostravano una coppia di genitori e un bambino.
Nonostante le ovvie implicazioni politiche del progetto, esso si sforza di popolare uno spazio estetico che riveli un’immagine più complessa della semplice dinamica tra oppressione/repressione, padrone/schiavo. Esso intende infatti esplorare anche i canali della complicità e la rete di interconnessioni tra i vari personaggi, implicando sia quelli in posizione di privilegio che quelli ad essi subordinati.
Obiettivo di fondo è quello di enunciare le storie di ognuno di noi, frutto di strutture relazionali alquanto intrecciate.
trad.: F. Ferreri
DONNA INES HA PERSO LA SCARPINA
Dona Ines aveva perso la sua scarpetta ed era in verità, abbastanza sconvolta,
qualcuno nel palazzo doveva averla, o almeno così lei pensò.
Era la dolce Miss Milly, o forse il piccolo Don Miguel??
Non importa quanto si scervellò, perché non lo seppe mai.
Sono un artista che vive a Santa Fè, New Mexico, U.S.A. che si è sentito obbligato a costruire una mostra su una sua complessa storia personale, che mi ha perseguitato per tutta la vita. Mio padre arrivò negli Stati Uniti dalla Spagna alla fine degli anni sessanta, e aprì con mia madre, una natia del Nuovo Messico, una compagnia di danza di flamenco. Man mano che la compagnia ebbe successo, loro cominciarono a viaggiare frequentemente. Io ho trascorso lunghi periodi con mia nonna Chippewa a Taos, Nuovo Messico, e ho frequentato per parecchi anni la scuola diurna della riserva. La principale fonte d’ispirazione di questa mostra deriva dalla storia di mia nonna, spedita in collegio all’età di otto anni, e il suo conseguente distacco dalla gente della sua terra e dalla sua famiglia. Dopo la mia esperienza alle scuole elementari, medie e al liceo Indiani, ho studiato e abitato in Spagna e in Francia (paese da cui proviene mia moglie). Dopo la morte di mio padre e di mia nonna, ho sentito il bisogno di sviluppare una mostra che esplorasse la complessità, le sfide e le ricompense che derivavano dall’essere cresciuto in una famiglia multietnica e multiculturale. Avendo vissuto nei luoghi più vari e disparati, questo progetto è per me, in un certo senso, il modo di riconciliare tutte queste identità, e per esplorare questo commovente ed affascinante passato che unisce molti di noi che siamo figli di quegli incontri primordiali tra coloni e nativi.
Un giorno durante la calda estate del 2013 ero a Madrid in visita a mio padre (che stava per intraprendere il suo ultimo viaggio verso la sua terra d’origine), e andai al Prado. La collezione permanente era costituita dai grandi capolavori di Velasquez, Ribera, Murillo, Goya ….. ma io mi diressi verso un angolo meno frequentato del museo in cui erano esposti lavori meno accattivanti per un osservatore del 21simo secolo, come i ritratti degli aristocratici e delle maestà reali del XVIII secolo. Il mio primo istinto era stato quello di saltarli e attraversare la sezione il più velocemente possibile per andare direttamente a vedere i Goya, ma poi venni colpito dal misterioso ritratto di una ragazza con alle spalle un paesaggio etereo. Era un dipinto eseguito da un artista di origine tedesca, Anton Raphael Mengs che ritrasse la maggior parte del’aristocrazia del tardo XVIII secolo.
Scoprii che la ragazza era Maria Luisa di Parma, futura regina di Spagna dal 1788 al 1808. Più tardi nella sua vita, venne ritratta da Goya in una luce molto meno favorevole, dopo essere divenuta la personificazione della decadenza della corte spagnola, al tempo delle invasioni napoleoniche.
Il bellissimo e, in qualche modo, strano ritratto, diede origine a questo mio progetto: un’esplorazione dell’idea di aristocrazia, bellezza, classe, schiavitù, dominio coloniale, e il loro impatto sulla società multietnica di oggi. Iniziai ad immaginare il profilo immaginario di un’aristocratica spagnola che arriva nel Nuovo Mondo e si trova al cospetto di una domestica nativa d’America, lì contro la sua volontà, ma che diverrà complice della vita segreta di Donna Ines. La mostra è imperniata sulle figure della serva e della nobildonna. Le opere in mostra tessono una storia della esperienza della domestica all’interno di una famiglia coloniale: l’esperienza di affrontare una nuova situazione riaffermando la propria identità fino alla lotta per emancipare se stessa in modo immaginario o reale. Questo percorso espositivo costituisce la memoria di quei pensieri, della sua battaglia. Altra protagonista é Donna Ines, la nobildonna che spende le sue giornate sfumacchiando la pipa, come facevano le donne aristocratiche di quel tempo, tirando su la propria famiglia solo per trovare se stessa segretamente vulnerabile e sperduta in questo Nuovo Mondo e in un ambiente a lei nuovo. La mia intenzione è quella di decifrare quell’aristocratica tanto quanto di analizzare la personalità della serva.
Le poco significative identità delle persone di servizio/schiave, riportano ad opere contemporanee di artisti come Kara Walker, e agli echi della inumana struttura gerarchica dell’America colonizzata dagli spagnoli, così come rappresentato dalla pittura della “casta” messicana, in cui ogni possibile commistione razziale era chiaramente enunciata in immagini quali quelle che mostravano una coppia di genitori e un bambino.
Nonostante le ovvie implicazioni politiche del progetto, esso si sforza di popolare uno spazio estetico che riveli un’immagine più complessa della semplice dinamica tra oppressione/repressione, padrone/schiavo. Esso intende infatti esplorare anche i canali della complicità e la rete di interconnessioni tra i vari personaggi, implicando sia quelli in posizione di privilegio che quelli ad essi subordinati.
Obiettivo di fondo è quello di enunciare le storie di ognuno di noi, frutto di strutture relazionali alquanto intrecciate.
trad.: F. Ferreri
IL DOPPIO VOLTO DELLA BELLEZZA
Nella vita accade sempre qualcosa di particolare se si hanno occhi attenti per osservare. E’ successo a Francisco Benitez nel 2013 al Prado colpito dal ritratto di Maria Luisa di Parma, futura regina di Spagna dal 1788 al 1808, eseguito da Mengs. Più tardi la stessa venne ritratta anche da Goya, al tempo in cui divenne la personificazione della decadenza della corte spagnola al tempo delle invasioni napoleoniche.
Da qui ha origine la mostra di Benitez lo scorso luglio a Palazzo Nicolaci a Noto “RI/SCATTI. Donna Ines ha perso la scarpina”, composta da dipinti, disegni, fotografie, video e installazioni, che analizza temi quali l’aristocrazia, la bellezza, le classi sociali, la schiavitù, il dominio coloniale e il loro impatto sulla società multietnica di oggi. L’artista, in questa mostra, ci racconta una storia, quella di un’aristocratica spagnola che arriva nel Nuovo Mondo e si trova al cospetto di una domestica nativa d’America che diverrà complice della vita segreta di Donna Ines. La mostra è imperniata sulle figure della serva e della nobildonna. Le opere in mostra tessono la storia della domestica all’interno di una famiglia coloniale: l’esperienza di affrontare una nuova situazione riaffermando la propria identità fino alla lotta per emancipare se stessa in modo immaginario o reale. Il percorso espositivo costituisce la memoria di quei pensieri, della sua battaglia. Donna Ines, invece spende le sue giornate fumando la pipa, come facevano le donne aristocratiche di quel tempo, tirando su la propria famiglia solo per trovare se stessa segretamente vulnerabile e sperduta in questo Nuovo Mondo e in un ambiente a lei nuovo. Benitez da impeccabile scrutatore di animi attraverso i ritratti, decifra il carattere dell’aristocratica e la personalità della serva. Le complesse strutture relazionali vengono trattate con una tecnica esaltante per quanto concerne la fedeltà al dato oggettivo, facendo affiorare il tratto psicologico della persona raffigurata. La capacità è tale da potersi muovere con disinvoltura su registri linguistici differenti che mettono in luce la padronanza dei mezzi che restituiscono attraverso un bisturi pittorico il particolare, il dettaglio, la cura maniacale, così come la sintesi formale creata con poche pennellate. Artista del proprio tempo che sa essere un “archeologo” della pittura antica sconfinando in altri campi, tecniche, linguaggi, egli riesce con questa mostra a far intendere bene qual è la sua idea di contaminazione, di meticciato culturale e artistico, affrontando sotto una nuova veste un tema politico e addentrandosi tra i canali della complicità e la rete di interconnessioni tra i vari personaggi, contemplando sia quelli in posizione di privilegio che quelli ad essi subordinati.
Il soggetto in primo piano e il paesaggio sullo sfondo - a volte dal sapore metafisico - innestano un dialogo tra quelli che sembrano scarti temporali, enfatizzati da un apparire familiare e allo stesso tempo estraneo al contesto, in un interessante gioco tra il risolto e l’enigmatico. Ma è anche una riflessione sul tempo, sul ricordo, dove la scelta formale, del soggetto, dà spazio a immagini silenziose in cui memorie personali e suggestioni confluiscono in una dimensione narrativa. Una narrazione dove la bellezza è protagonista, quella ostentata della nobildonna e quella più intima della serva. Ma una bellezza che a poco serve se si è prigionieri di un ruolo da rispettare e che invece è autentica se è indice di libertà interiore.
Ornella Fazzina
Nella vita accade sempre qualcosa di particolare se si hanno occhi attenti per osservare. E’ successo a Francisco Benitez nel 2013 al Prado colpito dal ritratto di Maria Luisa di Parma, futura regina di Spagna dal 1788 al 1808, eseguito da Mengs. Più tardi la stessa venne ritratta anche da Goya, al tempo in cui divenne la personificazione della decadenza della corte spagnola al tempo delle invasioni napoleoniche.
Da qui ha origine la mostra di Benitez lo scorso luglio a Palazzo Nicolaci a Noto “RI/SCATTI. Donna Ines ha perso la scarpina”, composta da dipinti, disegni, fotografie, video e installazioni, che analizza temi quali l’aristocrazia, la bellezza, le classi sociali, la schiavitù, il dominio coloniale e il loro impatto sulla società multietnica di oggi. L’artista, in questa mostra, ci racconta una storia, quella di un’aristocratica spagnola che arriva nel Nuovo Mondo e si trova al cospetto di una domestica nativa d’America che diverrà complice della vita segreta di Donna Ines. La mostra è imperniata sulle figure della serva e della nobildonna. Le opere in mostra tessono la storia della domestica all’interno di una famiglia coloniale: l’esperienza di affrontare una nuova situazione riaffermando la propria identità fino alla lotta per emancipare se stessa in modo immaginario o reale. Il percorso espositivo costituisce la memoria di quei pensieri, della sua battaglia. Donna Ines, invece spende le sue giornate fumando la pipa, come facevano le donne aristocratiche di quel tempo, tirando su la propria famiglia solo per trovare se stessa segretamente vulnerabile e sperduta in questo Nuovo Mondo e in un ambiente a lei nuovo. Benitez da impeccabile scrutatore di animi attraverso i ritratti, decifra il carattere dell’aristocratica e la personalità della serva. Le complesse strutture relazionali vengono trattate con una tecnica esaltante per quanto concerne la fedeltà al dato oggettivo, facendo affiorare il tratto psicologico della persona raffigurata. La capacità è tale da potersi muovere con disinvoltura su registri linguistici differenti che mettono in luce la padronanza dei mezzi che restituiscono attraverso un bisturi pittorico il particolare, il dettaglio, la cura maniacale, così come la sintesi formale creata con poche pennellate. Artista del proprio tempo che sa essere un “archeologo” della pittura antica sconfinando in altri campi, tecniche, linguaggi, egli riesce con questa mostra a far intendere bene qual è la sua idea di contaminazione, di meticciato culturale e artistico, affrontando sotto una nuova veste un tema politico e addentrandosi tra i canali della complicità e la rete di interconnessioni tra i vari personaggi, contemplando sia quelli in posizione di privilegio che quelli ad essi subordinati.
Il soggetto in primo piano e il paesaggio sullo sfondo - a volte dal sapore metafisico - innestano un dialogo tra quelli che sembrano scarti temporali, enfatizzati da un apparire familiare e allo stesso tempo estraneo al contesto, in un interessante gioco tra il risolto e l’enigmatico. Ma è anche una riflessione sul tempo, sul ricordo, dove la scelta formale, del soggetto, dà spazio a immagini silenziose in cui memorie personali e suggestioni confluiscono in una dimensione narrativa. Una narrazione dove la bellezza è protagonista, quella ostentata della nobildonna e quella più intima della serva. Ma una bellezza che a poco serve se si è prigionieri di un ruolo da rispettare e che invece è autentica se è indice di libertà interiore.
Ornella Fazzina